Il verbo Fotografare
Filoteo il Sinaita, vissuto da eremita forse tra il IX e il XII secolo in una grotta sul Monte Sinai, voleva sostituire al battesimo dell’acqua il battesimo nella luce. Cercava di annegare i suoi occhi nel “fiotto ardente del sole” ci descrive il filosofo Georges Didi-Huberman in un suo breve saggio. Voleva diventare immagine Filoteo, l’unica via per vedere ed essere visto da Dio.
Fu lui, ci dice lo studioso, a inventare il verbo “fotografare”, atto in cui Dio si imprimeva con la luce e lui stesso diventava quella stessa luce che aveva saputo guardare e che l’aveva guardato.
Continua il filosofo: “…solo il simile vede, che solo il simile ama e conosce davvero il suo simile. Tu non sei in grado di vedere la luce perché non sei fatto di luce. Ma se un giorno la luce ti colpisce, ti ‘fotografa’ al punto che tu la possa vedere, allora tu stesso sarai diventato elemento e oggetto della tua visione, sarai diventato la luce che contempli”.
Il verbo “fotografare” non rispondeva all’idea di costruire oggetti visibili bensì al desiderio di un’esperienza, di una visione in cui fossero equivalenti vedere ed essere visto.
Queste qui rappresentate sono grotte scavate dall’uomo per viverci, difendersi, pregare, nella gravina di Madonna della Scala a Massafra in provincia di Taranto e a Masseria San Marco di Fasano. E queste grotte che erano case, botteghe e chiese, così diffuse in tutto il Mediterraneo, sono simili ad occhi protesi verso la luce.
Foto realizzate per la mostra "Viandanti a Sud" organizzata dal Museo Pino Pascali nel 2019