Una ragazza supina, con il viso posato sul cuscino, ricambia silenziosa lo sguardo di chi le sta accanto. Da questa foto, trovata per caso in internet, è nato il desiderio di realizzare dei ritratti in cui la distanza tra osservato e osservatore fosse così breve da suggerire un rapporto di fiducia, di intimità, d’amicizia se non di vero affetto. Vicini, magari per continuare un racconto iniziato in un altro luogo, in un altro tempo, senza remore né timori né vergogna, in fedele attesa di “
un dialogo pacato”.
E così, sistemato un cuscino, uno sfondo nero di velluto, un copriletto scuro, ecco creato il luogo immaginario e concreto in cui, uno dopo l’altro, sono stati accolti tutti, chi ora mi è più vicino insieme a chi un tempo lontano mi ha porto la mano, a chi ha condiviso con me esperienze o sentimenti o a chi mi ha raccontato qualcosa di sé che, pur a distanza di tanti anni, ricordo ancora.
Non sono riuscito a chiamare tutti coloro che avrei voluto e forse non sarebbero bastate le pagine di questo libro per accoglierli. Alcuni poi avrebbero voluto esserci ma non hanno potuto. Quelli che ci sono rappresentano anche chi non c’è. D’altronde è impossibile far passare tutta la vita attraverso le lenti di un obiettivo fotografico.
Avevo già iniziato a realizzare i primi ritratti quando ho letto una poesia di Adam Zagajevski dal titolo “
Nella bellezza altrui” e vi ho riconosciuto lo stesso identico spirito del mio lavoro. Un incontro magico tra parole e figure che mi ha suggerito il titolo di questo progetto.
E così ora, terminati i ritratti, a guardarli uno per uno, questi visi illuminati dalla stessa luce narrano ognuno la propria storia. Eppure a vederli tutti insieme sono come tessere di un mosaico che sembrano comporre i tratti del mio viso proprio come, racconta Borges, accadde al pittore che nell’insieme dei tanti quadri in cui aveva voluto rappresentare il mondo finì col vedere ritratto il suo stesso volto.
Nicolai Ciannamea
Alessandra
Vis a vis. Quando i volti si specchiano l’uno nell’altro.
Nell’Incontro di San Pietro e San Paolo (1624-1625, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica) Giovanni Serodine raffigura i due apostoli che si guardano negli occhi al centro del quadro. I volti sono vicinissimi circondati dalla folla disordinata e gesticolante che li conduce al martirio. Entrambi appaiono isolati dal tumulto che li circonda. Le loro mani appena visibili si stringono. Pietro e Paolo con-dividono lo stesso destino ma anche tutto quanto li ha portati a con-dividere quel destino. Immagine che riporta alla mente i celebri passi aristotelici dei libri ottavo e nono dell’Etica nicomachea sull’amicizia.
Vis a vis come racconto di eventi con-divisi che hanno segnato i volti. Volti come paesaggi e quindi come narrazioni. Eventi che tornano alla memoria in quell’attimo indefinibile del dormiveglia, quando siamo di qua ma ancora di là e il vissuto si sospende tra memoria e immaginazione.
Affiora nel volto il viaggio compiuto verso la terra incognita dell’altro.
Avventura tra caratteri, sentimenti, memorie, esperienze, tratti della personalità, gesti, parole.
Esercizio dello sguardo che ha strappato l’altro alla massa anonima che ci circonda per costituirlo nella sua singolarità. Uno, non qualcuno. Alterità al dunque irriducibile con la quale con gioia e con fatica si è trovata una misura, un canone.
Sutura della lacerazione del legame sociale che ci vorrebbe addestrati all’homo homini lupus della competizione globale.
Ma c’è un ma.
Sarebbe facile avvertire, nell’osservazione della lunga teoria di volti posta in essere da Nicolai, l’eco di
Que reste-t-il de nos amours?
Forse Roland Barthes aveva in mente questa canzone mentre scriveva il saggio
La Chambre claire. Chissà quante volte gli sarà capitato di ascoltarla. Quello che resta
de nos amours è une photo, une vieille photo de ma jeunesse che forse induce Barthes a scrivere
ça a été … Barthes pubblica La Chambre Claire nel 1980. Ha scritto tra il 15 Aprile e il 3 Giugno 1979, poco dopo la morte della madre. Il pre-testo è il ritrovamento di una foto della madre, bambina. Si tratta della Foto del Giardino d’Inverno.
I volti di Nicolai non dicono barthesianamente di un
avoir été là. Non sono un esserci stato. Piuttosto circoscrivono una sua polis, una cittadella nella quale resistere a ciò che Pasolini definì mutazione antropologica. Una polis nella quale costruire un linguaggio e un pensiero comuni all’altezza del presente.
Raffaele Gorgoni
Francesco